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Giovanni Falcone: strage di Capaci e lotta alla mafia 26 anni dopo


da Palermo

«Si muore generalmente perché si è soli o perché si è entrati in un gioco troppo grande. Si muore spesso perché non si dispone delle necessarie alleanze, perché si è privi di sostegno». Lo diceva il giudice Giovanni Falcone, ucciso dalla mafia un sabato pomeriggio di 26 anni fa sull’autostrada – allo svincolo di Capaci – con 400 kg di tritolo. Con lui, quel sabato pomeriggio, c’erano la moglie Francesca Morvillo e i tre uomini della scorta Vito Schifani, Antonio Montinaro e Rocco Dicillio.

Breve biografia di Giovanni Falcone

Falcone era il magistrato simbolo della lotta alla mafia. Facciamo un passo indietro. Nel quartiere arabo della Kalsa di Palermo, dove il piccolo Giovanni era cresciuto, esistevano per lui la scuola, l’Azione cattolica e pochi divertimenti. Il padre era un uomo austero: per lui non esistevano viaggi e villeggiatura. Anche la madre era, come diceva il giudice, «una donna energica e autoritaria».

«Con i 7 e gli 8 la mia pagella veniva considerata brutta», raccontava il magistrato. Aveva frequentato il liceo classico. Poi l’Accademia militare di Livorno, quindi – dopo averci ripensato – si iscrisse a Giurisprudenza. Si laureò a pieni voti.

Poi la carriera: iniziò come pretore a Lentini (Siracusa), poi a Trapani, dove rimase per 12 anni. Seguì il trasferimento a Palermo, dove si occupò del processo al costruttore edile Rosario Spatola, accusato di associazione mafiosa. Falcone accompagnò l’istruttoria con indagini bancarie e societarie, utilizzando un metodo d’indagine innovativo. Di Cosa Nostra diceva:

«La mafia è un fenomeno umano e come tutti i fenomeni umani ha un principio, una sua evoluzione e avrà quindi anche una fine».

Strage di Capaci: cosa è successo il 23 maggio 1992

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